Lo Yoga Integrale: quando lo spirito incontra la materia

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Lo Yoga Integrale: quando lo spirito incontra la materia

L’obiettivo dello Yoga di Śrī Aurobindo e Mère è quello della divinizzazione della natura del discepolo attraverso la trasformazione della stessa, fino ad arrivare ad una espansione del processo talmente grande da creare un’evoluzione della razza umana.[1]

Secondo loro infatti l’intero processo evolutivo è partito da una Materia incosciente da cui è nata la Vita. La Vita ha preso coscienza e sono nati gli animali, dotati di istinti. Alcune scimmie hanno sviluppato capacità mentali nettamente superiori a quelle dei loro simili, dando origine a una nuova razza dotata di Mente: l’uomo. Ma l’uomo è un essere di transizione, come lo sono state le scimmie ai tempi. Ora l’essere umano svilupperà la propria coscienza e da essere mentale diventerà essere spirituale. Questo è il nuovo passaggio nell’evoluzione previsto da Śrī Aurobindo e Mère.

Per arrivare a tale passaggio, i due si sono proposti di indirizzare il discepolo verso la scoperta del proprio ātman. Questa scoperta porterà ad effettuare cambi di coscienza che indirizzeranno l’individuo verso una più profonda consapevolezza di sé e del mondo che lo ospita, fino a conseguire una vera e propria evoluzione interiore e spirituale che trasformerà la sua natura esteriore[2], quindi la sua mente, la sua vita e poi il suo fisico. L’ambito spirituale quindi entra nella materia dell’individuo, la fa evolvere, portando la presenza del Divino in ogni ambito della vita. Questo comporterà da prima una trasformazione personale, poi l’individuo, avendo preso coscienza di sé, indirizzerà anche gli altri verso tale cambiamento.

Proprio per questa padronanza ed elevazione della materia, oltre che per la sintesi tra oriente ed occidente e per il far confluire dentro tale Yoga molti aspetti delle correnti più disparate, il loro Yogaverrà chiamato “Yoga Integrale” (Purṇa Yoga).

L’obiettivo principale di tale Yoga è che l’individuo esce dalla propria sfera egocentrica, e dalla coscienza comune (mossa dai movimenti della Mente, i quali sono soggetti a tutti i sentimenti ed emozioni che caratterizzano la vita), per entrare nella Coscienza Divina (la quale risponde solamente ai movimenti superiori di Prakāśa – Luce, Śanti – Pace, Śakti – Potere e Ānanda – Beatitudine, donando una Jñāna – Consapevolezza sia statica, sia dinamica, sia creativa) e diventarne uno strumento ed un veicolo. In tal modo si potrà creare un mondo dove la Volontà Divina venga manifestata, potendo superare così le problematiche attuali, come ad esempio quella ambientale, che sono il riflesso della natura prettamente egoistica dell’uomo.

Lo Yoga Integrale quindi dovrà essere realizzato solo ed esclusivamente a vantaggio del Divino. Ogni preferenza, desiderio o attaccamento agli affetti personali vanno fatti sparire. Il distacco è fondamentale per lasciarsi muovere dalla Volontà Divina ed identificarsi con essa, senza che quella personale prenda il sopravvento.

Questa identificazione con la parte più interna di sé porterà ad una maggiore introspezione, fino a vivere in continuo contatto con il proprio ātman, distaccandosi dall’essere esteriore che è incessantemente influenzato dagli impulsi e dalle forze esterne. Il raggiungimento di tale completezza non ha uno schema obbligatorio. Ognuno infatti potrà avvicinarsi al Divino e praticare la propria sādhanā nella maniera ed attraverso i mezzi che gli vengono più congeniali.

Ciascun discepolo quindi dovrà aspirare al Divino, donando tutto se stesso e ogni propria azione, rifiutando i moti che ci allontanano da esso. Ovviamente un’ascesa spirituale completa è impossibile fin dal principio, in quanto alcune parti collaboreranno di più rispetto ad altre. L’importante è rimanere costanti in tale apertura, svolgendo continuamente un lavoro sulla propria persona. Questo si ottiene con l’aspirazione, con la bhakti e con la concentrazione nella ricerca dell’ātman. Esso si può trovare nella cavità del cuore o immediatamente sopra la testa. Per riuscire a sentire la sua presenza è necessario placare gli istinti ed i pensieri che ci mantengono costantemente sotto gli impulsi nervosi, occupando il nostro essere nella personalità di facciata. 

Tramite il dono di sé alla Divina Madre si permette al Divino di entrare nella nostra persona e di compiere azioni che lo manifestino. Ovviamente questo completo affidarsi alla Madre (quindi alla śakti del brahman) incontra grandi ostacoli lungo il percorso di realizzazione: la Mente continua ad essere scettica, il Vitale (ossia quella parte di noi profondamente attaccata alla vita ed ai suoi piaceri, sede del desiderio, dell’affermazione di sé, delle volontà, delle emozioni, dei sentimenti, delle passioni ed intolleranze) continua a voler perseguire i suoi scopi e si ribella, mentre il Fisico diventa inerte. Per questi motivi soprattutto all’inizio c’è bisogno di una grande volontà e costanza, che esige un continuo sforzo ed a volte sofferenza spirituale.

Il dono di sé deve essere un dono attivo e dinamico, assolutamente non passivo o inerte. Infatti, oltre a donare se stessi ed autorizzare il Divino ad operare sulla propria persona, il discepolo dovrà nutrire forte volontà, costanza, aspirazione e fede. Il tutto va effettuato con pazienza e perseveranza oltre che con sincerità d’intenti. Molto spesso si corre il rischio di distorcere inconsciamente la propria sādhanā, permettendo ai fini egoistici di prendere il sopravvento su quelli spirituali. L’animo deve rimanere in un continuo stato di calma, pace e silenzio, rifiutando gli impulsi che provengono dall’esterno. In tal modo si riceverà un’apertura verso il brahman, che permetterà di avvicinarsi ad una più grande JñānaŚakti Ānanda.

Queste forze, ospitate dentro di sé, potranno poi riflettersi in ogni aspetto della vita e si ritroveranno in ogni elemento del mondo. Fino a quando non si riceverà quest’apertura spirituale, si rimarrà limitati alle percezioni della Mente. Inoltre il Vitale con i suoi attaccamenti ci porterà a gioire e soffrire in base agli eventi esterni che la vita presenterà lungo il cammino, facendo passare l’animo umano attraverso gioie, talvolta anche sfrenate, e piccole o grandi depressioni. Per questo il distacco e l’indifferenza verso gli aspetti esteriori della vita sono più che mai necessari per intraprendere un cammino spirituale.

Il tutto però deve essere effettuato senza voler accorciare i tempi o fare ricorso alla forza. Se si turba l’equilibrio dell’organismo si corre il rischio che tale soppressione degli istinti porterà i vari elementi a reagire ed a riemergere con maggiore ribellione in seguito. Dall’altro lato non bisogna pensare che il Divino faccia tutto da solo. Senza il continuo sforzo personale niente potrà essere trasformato. La “via di mezzo” (madyam-mārga), come dicono i buddhisti, è sempre quella giusta da seguire.

Tratto da:

Tara Rosa Eleonora Percesepe, La Trasformazione della Coscienza, Libraio Editore, Milano 2019


[1] L’evoluzione non avviene solo sul piano fisico, come si tende a credere in occidente. 

[2] Per ulteriori chiarimenti fare riferimento al sottoparagrafo  4.3.2

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